Il gallurese (gadduresu) è la lingua parlata nell’area nord-orientale della Sardegna e più precisamente nella regione storica della Gallura, compresa nella provincia di Sassari. Nonostante il massimo studioso della lingua sarda, Max Leopold Wagner, consideri l’idioma gallurese come il risultato dell’immigrazione corsa del XVIII secolo, l’origine del dialetto tipico del nord-est dell’isola è tuttora motivo di dibattito, a causa dei flussi migratori e della conseguente importazione nel territorio di dialetti che ne hanno mutato e influenzato il modo di comunicare nell’arco dei secoli.
Pur essendo un idioma mediamente omogeneo – nonché parlato in modo compatto in tutta la zona, se non per minime differenze di pronuncia –, il gallurese presenta infatti una struttura di base profondamente corsa ma allo stesso tempo influenzata dal sardo logudorese, dal sassarese e anche, seppur in minima parte, dall’italiano. In base a una ricerca socio-linguistica condotta dalle università di Sassari e Cagliari, il dialetto gallurese è oggi capito da poco meno di centoventimila abitanti e parlato da circa settantamila persone, in una popolazione che comprende cittadini olbiesi e galluresi.
La Regione Autonoma della Sardegna attribuisce al gallurese – così come al sassarese, al tabarchino di Carloforte e Calasetta e al catalano di Alghero – la stessa valenza culturale e linguistica riconosciuta alle due macro-varianti del sardo (logudorese e campidanese), mediante la Legge Regionale n. 26 del 15 ottobre 1997 (art. 2, comma 4) sulla “ Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna ”.
Proverbi e modi di dire in gallurese
• Cal’addóca a dumàni addóca a li càni
(Chi lascia a domani, lascia ai cani)
• No si fàci fócu chi no ésci fùmu
(Non esiste fuoco che non produca fumo)
• A lu tèmpu di li fìchi né parènti e né amìchi
(Al tempo dei fichi né parenti, né amici)
• Còlcia la bànca chi mànca la bàlba biànca
(Misero il tavolo in cui manca la barba bianca)
• A sciuccà lu càpu a l’àsinu ci si rimètti lu saòni e la fatìca
(A lavare la testa all’asino ci si rimette il sapone e la fatica)