I coltelli sardi, chiamati in dialetto comunemente leppe o (a seconda della zona geografica) resolze in sardo logudorese e arresojas nella variante campidanese, sono indubbiamente tra gli oggetti della produzione artigianale isolana più caratteristici e conosciuti anche al di fuori della Sardegna.
Con le loro lame affilate in modo impeccabile e l’inconfondibile chiusura a serramanico, i tradizionali coltelli sardi hanno da sempre rappresentato uno degli utensili da taglio irrinunciabili per pastori, contadini e cacciatori e sono oggi particolarmente ricercati anche da collezionisti, appassionati e turisti.
Non più solo strumenti di uso comune da conservare, ad esempio, nei cassetti delle cucine, ma veri e propri oggetti d’arte che, in base alla lavorazione (rigorosamente a mano), alla struttura e al materiale utilizzato, possono arrivare a costare anche più di mille euro.
Con i loro manici in corno o in madreperla, il collarino in ottone, oro o argento e la lama in acciaio damascato, i coltelli sardi sono il frutto dell’espressione artistica dei maestri artigiani che si trovano in diverse località della Sardegna.
I paesi più conosciuti per la produzione di coltelli a serramanico sono indubbiamente Pattada (in provincia di Sassari) – in cui viene realizzato quello che risulta essere forse il coltello sardo più conosciuto, che prende il nome di pattadese –, Dorgali, Gavoi e Desulo (in provincia di Nuoro), Arbus – che ospita il Museo del coltello sardo, che nel paese viene chiamato arburesa – e Guspini (che fanno parte della nuova provincia del Sud Sardegna).